Mondo

In viaggio sulla corriera che collega Amman all’Iraq. Ultima fermata, Bagdad

Il biglietto costa solo 9 euro per i 1.100 chilometri di strada. Il pullman è poco più che un catorcio (di Maurizio Pagliassotti).

di Redazione

Nove euro. è il costo del biglietto della linea Amman-Bagdad via bus, attualmente la maniera più economica per raggiungere la capitale irachena e ovviamente per scapparne. In alternativa ci sono le jeep Gmc, enormi pick-up cabinati gestiti da compagnie di trasporto giordane, costosissimi e utilizzati di solito dagli occidentali. Nove euro per percorrere i 1.100 chilometri che dividono le due capitali. Un prezzo stracciato: ma l?autobus non merita di più. è un catorcio, in Italia sarebbe buono solo per la demolizione. Biglietto alla stazione Abdali di Amman e partenza; sono le 16. L?autista azzarda una previsione: venti ore di viaggio. A bordo siamo in 17, di cui tre donne, un bambino e un coreano la cui dotazione tecnologica vale almeno cinque volte l?intero bus, più l?autista. Le ultime file sono occupate dai bagagli dei passeggeri: valigie, borse, giganteschi sacchi di plastica, decine di scatole di mostarda, coperte, materassi, mobili… Anche sul tetto si ammucchiano masserizie di ogni genere. Si parte e il viaggio scorre tranquillo lungo le autostrade giordane, asfissianti perché appena asfaltate. Prima sosta a 79 chilometri dal confine, in un villaggio giordano dal nome incomprensibile, ultimo posto dove i telefoni fissi funzionano. Da qui in poi sarà silenzio perché a Bagdad le linee sono interrotte e se non si possiede un satellitare sarà impossibile restare in contatto con il mondo. Nei racconti di ognuno si erige su tutti la figura di Ali Babà, il ladrone che ammazza e ruba, incontrastato vincitore di questa guerra. Intorno ad Ali Babà ruota il presente dell?intera popolazione di Bagdad. Tutto è rapportato ad esso, ed è per colpa sua che gli americani stanno perdendo consenso giorno dopo giorno. Il bus arriva alla frontiera con l?Iraq. Prima della guerra, un grande dipinto di Saddam vestito da beduino del deserto accoglieva chi entrava nel Paese. Adesso la figura del presidente è, per i buchi delle pallottole, una specie di colabrodo. In Iraq si entra senza visto, basta il passaporto e non si paga nessuna tassa. Pochi soldati americani, le pratiche le sbrigano tutte gli iracheni, alcuni dei quali vestono ancora la vecchia divisa militare. Tutto tranquillo, però l?autista chiede a tutti un sovrapprezzo perché una guardia irachena avrebbe preteso dei soldi per passare. Ma non è troppo convincente e la richiesta viene stroncata dalle proteste generali. Sale sull?autobus un soldato che dovrebbe controllare i nostri bagagli… Ovviamente desiste e si limita ad aprire qualche valigia che affiora in superficie. Racconta di una situazione molto tranquilla sul confine ma di seri pericoli nella capitale perché la resistenza si sta organizzando e gli attacchi sono sempre più complessi. Il nostro autobus riparte dopo una lunga e vana attesa per formare un convoglio, maniera decisamente più sicura per difendersi dai predoni che infestano questa strada poco pattugliata dagli americani. Mancano circa 500 chilometri e nonostante l?arrancare del catorcio la distanza dovrebbe essere coperta in un soffio. Il soffio si interrompe paurosamente intorno alle 3 quando l?autista, esausto, si addormenta al volante e punta verso il guard rail di sinistra: per fortuna l?autostrada è gigantesca, tre larghe corsie in ogni senso di marcia, e le urla di panico svegliano il conducente che recupera la situazione. Per non rischiare nuovamente di schiantare l?autobus, decide di fare un sonnellino; decisione saggia se ci si trova su una qualsiasi autostrada italiana, pessima se si è in mezzo al deserto dell?autostrada irachena. I locali diventano isterici perché temono assalti da parte di Ali Babà, mentre l?autista ride. E più urlano e più quello ride di gusto. Fuori la luna piena ci illumina a giorno, siamo soli in mezzo al nulla, passa una macchina ogni 20 minuti e ogni volta nella testa di tutti c?è Ali Babà. Intorno alle 4 del mattino, l?autista emette un rantolo, uno sbadiglio e torna al suo posto. Ali Babà per fortuna non si è visto. Nonostante i guasti meccanici, finalmente si arriva alle porte di Bagdad e tutti gareggiano per raccontarti la loro guerra. C?è il combattente di Al Nassirjiah che si scopre la maglietta e ti fa vedere i buchi che gli inglesi gli hanno lasciato, i vecchi che ricordano i bombardamenti nella zona dei ministeri oppure l?entrata in città delle truppe. “Non immaginavamo che esistessero dei carri armati tanto grandi (gli Abrahms)”. Quelli iracheni invece giacciono come relitti distrutti un po? ovunque mentre trionfanti colonne di blindati americani corrono veloci in questa periferia. Gli ex palazzi del potere sono stati tutti demoliti dai bombardamenti, mentre altri appaiono bruciati ma non colpiti. Mi spiegano che, nei giorni successivi alla caduta del regime, l?anarchia ha portato a gesti sconsiderati come l?appiccare il fuoco a interi edifici da parte di pazzi. Siamo in città, sono le 10 quando il solito caotico traffico di Bagdad accoglie il nostro bus. “Welcome to Bagdad!”, urla l?autista ora tutto allegro. Arrivo e scarico bagagli che dopo la frontiera sono stranamente aumentati, baci e abbracci. “Faccia attenzione mister, a Bagdad ci sono dei cacciatori di stranieri (foreign hunter), Ali Babà, Ali Babà…”.

Maurizio Pagliassotti


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